Il vino ha un’importanza enorme nella nostra cultura e una tradizione antichissima.
Nella mitologia greca esisteva persino un dio del vino, Dioniso. La cerimonia della libagione, simile al nostro moderno brindisi, prevedeva di mescere il vino con il miele (fino alla “scoperta” dell’America lo zucchero non esisteva in Europa). Questo vino è un’ambrosia, è un detto che deriva dai Greci, per i quali l’ambrosia era il dolcissimo cibo degli dei. Nei 24 libri dell’Odissea la parola “vino” ricorre ben 134 volte, una frequenza molto indicativa.
In epoca latina il dio del vino è sopravvissuto con il nome di Bacco, da cui il detto Bacco tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere. La divinità era collegata all’idea dell’ebbrezza, che fa perdere la testa agli uomini e a volte fa loro commettere delle malvagità. Un concetto che si ritrova nelle espressioni come il vino annebbia il cervello, questo vino è traditore – perché sembra leggero ma ubriaca – o i fumi del vino, nei quali è possibile affogare o annegare i dispiaceri. Del resto il vino concilia il sonno, basta non alzare troppo il gomito!
Ma la concezione del vino come sostanza inebriante non è il solo aspetto che emerge dalla tradizione antica. Bacco è anche l’inventore della coltura (e della cultura) della vite e della vigna. Sin dall’antichità, infatti, il vino è anche una materia prima, come il pane e l’acqua, alla base della nostra vita quotidiana. E come tutte le sostanze primarie la metafora del vino e della sua tradizione è ovunque. Gli accostamenti al pane sono innumerevoli, dire pane al pane e vino al vino, per esempio. O il proverbio pane di un giorno e vino di un anno.
Passando all’epoca cristiana non si può omettere di citare l’ultima cena di Gesù e l’Eucarestia: il pane è il corpo di Cristo e il vino è il suo sangue. “Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue… ” [Matteo 26, 27-28]. E, sempre restando in tema di Vangeli, bisogna almeno ricordare l’episodio delle nozze di Cana, quando Gesù trasforma l’acqua in vino [Giovanni 2, 3, 10]. Tra sacro e profano dunque (vin santo a parte, naturalmente), il vino è anche qualcosa di buon auspicio: si usa persino per varare le navi.
Dal vino si possono trarre molte massime: nelle botti piccine sta il vino buono, per esempio, per consolare chi non è dotato di grande statura, ma anche per sottolineare che la qualità e la quantità sono categorie ben distinte. In caso di controversia, meglio finire a tarallucci e vino, e sanare tutto in modo gioviale, magari con un buon bicchiere che fa resuscitare anche i morti.
Tra i proverbi e le massime più diffuse ci sono infine non chiedere all’oste se ha il vino buono (la domanda prevede una risposta scontata più che sincera), volere la botte piena e la moglie ubriaca (inseguire cose contrastanti), dare un colpo al cerchio e uno alla botte (dar ragione un po’ a uno e un po’ all’altro) e far come l’asino che porta il vino e beve l’acqua (lavorare lasciandosi sfruttare).
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